Mi congratulo di cuore con il mio partito, il Partito democratico cristiano svizzero, per aver raggiunto l'importante traguardo dei cento anni di esistenza.

Dopo il fallimento di diversi tentativi di fondare un partito federale, la storica impresa riuscì nel 1912, con la nascita del Partito conservatore svizzero.
Il nuovo partito si pose come principi fondamentali la libertà di fede e di coscienza, un federalismo moderato e una legislazione a carattere sociale.
Già nel 1919 fu possibile spezzare la maggioranza liberale in Parlamento.
Da allora si è affermato un ampio spettro di partiti.

Sono fiera di appartenere a questo partito.

Un partito che con una politica della neutralità e con impegno umanitario ha lavorato per il benessere della gente, attraverso le turbolenze di due guerre mondiali.
Un partito che, sulla base di valori di libertà di stampo cristiano-occidentale contribuisce alla coesione e alla convivenza pacifica delle culture, delle religioni e delle persone più diverse di questo Paese.
Un partito che, negli ultimi decenni, ha contribuito a fare in modo che il benessere non rimanesse privilegio di pochi, ma fosse distribuito a tutta la popolazione.
Un partito che, con una politica pragmatica e orientata alla ricerca di soluzioni, fa da contrappeso alle richieste più estreme provenienti da destra o da sinistra.
Un partito che, con apertura e trasparenza, promuove la collaborazione costruttiva con i nostri vicini, rafforza la Svizzera in una competizione internazionale che si fa sempre più dura e contribuisce, nel contempo, a rafforzare la voce e la responsabilità della Svizzera laddove si tratta di difendere i diritti umani, combattere la povertà, la corruzione o il mutamento climatico.

Che cosa ci si può attendere dal Partito democratico cristiano svizzero per il futuro?

Al giorno d'oggi, dove sempre più partiti si contendono il favore degli elettori, un partito come il Partito democratico cristiano svizzero non ha vita facile, per due motivi.

Primo: l'equilibrio, l'imparzialità e la ricerca del consenso sono meno immediati di una politica ad effetto, di breve respiro, se non addirittura populista.
Secondo: oggi la gente attribuisce minore importanza alla fede, e di conseguenza il Partito democratico cristiano svizzero ha perso una parte dei suoi elettori.

In che modo il Partito democratico cristiano svizzero potrà quindi affermarsi in futuro e mantenere il proprio successo come partito nazionale e popolare?

Da un'inchiesta recentemente effettuata in Germania è emerso che:

molti non si riconoscono più chiaramente nella fede cristiana
ma molti si identificano con la tradizione cristiana del Paese.

I principi cristiani riscuotono un forte consenso nella società; l'impegno a favore delle persone socialmente deboli e della famiglia, la difesa della dignità dell'individuo, dello stato di diritto, della parità di trattamento sono valori su cui il Partito democratico cristiano svizzero può ottenere consensi.

Su questi temi fondamentali può assumersi responsabilità e, contemporaneamente, rimanere fedele ai principi della sussidiarietà delle prestazioni statali e della responsabilità individuale dei cittadini.
Proprio in questo ambito, in considerazione dei cantieri aperti nel campo delle assicurazioni sociali e della politica fiscale, il Partito democratico cristiano svizzero assume un ruolo decisivo nel far sì che le prestazioni e il relativo finanziamento restino in equilibrio e nell'evitare che il principio della solidarietà venga scalzato.

Il Partito democratico cristiano svizzero può contare anche sul Popolo che nelle ultime elezioni federali ha scelto di rafforzare il centro, confermando ciò anche nelle elezioni cantonali.
Questo dimostra che la politica orientata al consenso ha successo anche quando non provoca titoloni sui giornali o si fa notare con richieste esagerate.
Abbiamo successo perché ci domandiamo sempre:

Occorre davvero intervenire?
Una richiesta è compatibile con la Costituzione e con il diritto internazionale?
È una materia di competenza della Confederazione?
L'attuazione è praticabile, accettabile per le famiglie e le PMI, e porta vantaggi o solo più burocrazia?

Una politica di questo genere presuppone preparazione, analisi e discussioni serie.
Dopo di che decidiamo.
E facciamo anche concessioni a chi la pensa diversamente.
È questo che ha portato alla Svizzera successo, benessere, stabilità e sicurezza.
È questo che ci ha reso un Paese attrattivo.
Certo, la politica deve anche saper alzare la voce.
Ma è forte solamente chi conosce i modi e le possibilità per imporre qualcosa!
Non vi è quindi motivo, per il Partito democratico cristiano svizzero, di abbandonare il suo modo di fare politica orientato alla ricerca di soluzioni.
La gente però si aspetta decisioni.
Viviamo in un mondo febbrile, inondato di informazioni.
L'attenzione di cui si è oggetto obbliga ad agire e a posizionarsi rapidamente.
Esitare, posticipare, ponderare all'infinito, vengono vissuti come segni di debolezza.
Come anche fare l'occhiolino a ciò che in un determinato momento appare buono, popolare e alla moda.
Un partito deve essere fedele a se stesso, anche in tempi difficili, su temi spinosi, nelle domande le cui risposte non riscuotono applausi.
Un profilo chiaro, menti lucide, linguaggio comprensibile: tutto ciò paga ed è anche quello che gli elettori si aspettano.
Vogliono sapere quale Svizzera vuole il Partito democratico cristiano svizzero.

La Svizzera in un mondo in trasformazione

In questo modo possiamo affermarci anche in un contesto in continua trasformazione a livello internazionale.
Oggi il mondo cambia sempre più velocemente.
Gli accordi devono essere adeguati con maggiore frequenza, perché le regole esistenti non riescono più a tenere il passo con il continuo mutamento.
Dal 1972 al 1999, alla Svizzera e alla Comunità Economica Europea (CEE) era bastato un accodo di libero scambio.
Dal 1999 siamo in un processo quasi costante di negoziazione con Bruxelles.
Abbiamo negoziato più di 120 accordi settoriali.

Oggi il mondo reagisce più velocemente.
Quando in qualche parte del mondo si ritiene che vengano lesi dei principi religiosi, dalla parte opposta della sfera terrestre vengono bruciate bandiere e assediate ambasciate.
Quando nell'area Euro l'indebitamento di tre o quattro Stati paralizza lo sviluppo economico, anche l'economia Svizzera e quella mondiale vengono risucchiate dal vortice.

La Svizzera non può sottrarsi a questi cambiamenti.
Il nostro Paese non è risparmiato da cambiamenti politici, economici e sociali.
Dobbiamo affrontare la sfida, se non vogliamo essere marginalizzati.
Dobbiamo seguire più da vicino gli sviluppi internazionali, rafforzare la nostra rete di relazioni, difendere con più forza i nostri interessi nella competizione globale per ottenere attenzione, attuare più velocemente a livello nazionale i cambiamenti che si prefigurano.
La politica estera è sempre più anche politica nazionale, è politica a favore della piazza economica.

Sfide del mondo

Da ciò scaturiscono importanti domande:

le nostre istituzioni statali (Consiglio federale, Amministrazione, Parlamento, Cantoni) sono sufficientemente preparate a questi sviluppi internazionali?
Qual è il nostro rapporto con le coalizioni e le organizzazioni internazionali nuove e preesistenti?
Abbiamo sufficienti risorse?
Disponiamo delle competenze necessarie?
Come possiamo far valere al meglio i nostri interessi?
Chi sono gli alleati, i partner della Svizzera?

Per rispondere, possiamo appoggiarci a ciò che ha contribuito a costruire il nostro successo nel corso dell'ultimo secolo:
la nostra democrazia, lo stato di diritto, la neutralità, l'impegno umanitario e a favore della pace e dei diritti umani, un mercato del lavoro flessibile con un forte partenariato sociale, l'elevato livello di formazione e l'eccellenza nel campo della ricerca, buone infrastrutture e la grande operosità della nostra popolazione.

Ne sono convinta: in questo mondo sapremo farci valere se verso l'interno saremo solidali, curiosi e all'avanguardia, e se ci presenteremo verso l'esterno con una voce sola, sicuri di noi stessi e aperti.

Noi, il Partito democratico cristiano svizzero e la Svizzera, lo abbiamo riconosciuto: vale la pena puntare sulla collaborazione internazionale.
Abbiamo capito che un mondo stabile e rispettoso dei diritti fondamentali ha bisogno di regole comuni.
Proprio per un Paese piccolo, che non fa parte di nessun blocco, una serie di regole internazionali affidabili non può essere che un vantaggio.
Il Partito democratico cristiano svizzero ha sempre agito attivamente, nelle questioni del commercio mondiale, in relazione all'istituzione di un diritto del lavoro internazionale, nella cooperazione per lo sviluppo, nella protezione dei brevetti e della proprietà o a favore della stabilità dei mercati finanziari.
Sulla base di queste competenze, ha la possibilità di trovare risposte intelligenti alle questioni prima elencate.
A mio parere, un maggiore impegno in ambito internazionale e una buona rete di relazioni sono quindi più che mai necessari, per tutti i partiti di governo.

Allo stesso tempo la Svizzera non è risparmiata dalle critiche.
Determinati attacchi sono espressione di prove di forza di carattere politico, derivano dalla concorrenza economica o dal fatto che non facciamo parte dell'UE. L'indipendenza, il seguire una via propria, può anche comportare degli svantaggi.
Per questo alcuni dei Paesi UE considerano sempre più la Svizzera come un Paese profittatore, che vuole prendersi solo il meglio.

Ma come la Svizzera, anche l'UE deve fare i conti con una certa perdita di potere.
I Paesi emergenti, caratterizzati da una forte crescita e sempre più popolosi, esigono a gran voce un posto sulla scena mondiale.
Quasi tutte le organizzazioni multilaterali sono state fondate dopo la seconda guerra mondiale.
Le loro strutture sono rimaste sostanzialmente immutate.
Esse non rispecchiano più correttamente la comunità degli Stati, né per quanto riguarda la distribuzione della popolazione, né per la capacità economica, con i diritti e doveri che ne derivano.
La distinzione fra Paesi industrializzati e Pesi in via di sviluppo non corrisponde più alla realtà.
Occorrono nuove categorie e una nuova distribuzione delle responsabilità.
Molti Stati si aspettano che i classici Paesi industrializzati continuino a impegnarsi in modo determinante nella cooperazione per lo sviluppo e nella lotta ai cambiamenti climatici, sostenendo in gran parte da soli gli oneri finanziari.
Ne ho avuto nuovamente conferma anche nell'ambito della Conferenza sulla biodiversità di Hyderabad.

In questo contesto la Svizzera può riposizionarsi, se si dimostra capace di offrire i suoi servizi di qualità in maniera indipendente, affidabile, lungimirante e rispettosa dei diritti e delle regole fondamentali.
Per esempio

con la nuova strategia della piazza finanziaria,
con il nostro ruolo nelle istituzioni di Bretton-Woods, come intelligenti mediatori e fornitori di idee in questioni particolarmente delicate, come nelle trattative sul clima e nell'OMC e
con buone proposte nelle riforme che stanno per essere avviate in diverse organizzazioni.

Nel contempo occorre però anche esigere la reciprocità di contributi vincolanti e affidabili degli Stati beneficiari.

Di solito in questo campo abbiamo successo, anche grazie ai buoni diplomatici di cui disponiamo.

Sfide in Europa

Più difficile risulta il posizionamento nei confronti dell'UE.
La via degli accordi bilaterali con l'UE, intrapresa dopo la bocciatura dell'adesione allo Spazio economico europeo, ha avuto successo, e continua a rimanere aperta.

Ma questa via diventerà sempre più complessa e impervia.
L'UE esige sempre di più che la Svizzera recepisca determinati principi istituzionali, perché possa continuare ad essere integrata nel mercato interno europeo.
Se ciò potrà essere conseguito senza perdita di democrazia, sarà possibile sviluppare ulteriormente la via bilaterale.

Dal momento che questo libero accesso al mercato UE è nel nostro interesse, dobbiamo chiederci: fino a che punto vogliamo andare con queste trattative?
Quanta democrazia vale questa via bilaterale?
Che cosa riceviamo in cambio delle nostre concessioni?

Lo sviluppo delle nostre relazioni con l'UE avrà comunque un costo.
Da entrambe le parti, occorrerà essere pragmatici e non arroccarsi su questioni di principio.
Occorreranno soluzioni che possano essere comprese dai nostri cittadini e che possano eventualmente anche fungere da modello per altri Stati.

Una politica di questo genere non significa volersi prendere solo il meglio.
Vuol dire piuttosto avere rispetto della sovranità altrui.

I colloqui con Bruxelles non sono small talk.
Per il consiglio federale sono doppiamente difficili
perché

il timore di una perdita di democrazia è oggi molto diffusa in Svizzera e la disponibilità a un dibattito politico interno su questo tema è molto scarsa, e perché
l'UE è impegnata a risolvere la crisi dei debiti e alcuni suoi Stati membri considerano la Svizzera come una vacca da mungere dal punto di vista fiscale.

Non nascondiamo la nostra fiaccola sotto il moggio.
La Svizzera può presentarsi a Bruxelles sicura di sé, non deve avere un atteggiamento supplichevole.
Con tutto il rispetto, il parlamentare europeo verde che definisce la Svizzera come un'impresa ingenua se non addirittura pericolosa non ha capito nulla della Svizzera.
La crisi delle banche e del debito in Europa non ha nulla a che fare con la Svizzera.

Noi aiutiamo l'UE, con crediti FMI, con contributi di coesione provenienti dalle casse dello Stato elvetico.
Aiutiamo l'UE a gestire i trasporti sull'asse nord-sud, con le nostre infrastrutture che funzionano come un orologio svizzero e con la NEAT che abbiamo noi stessi finanziato.

Dobbiamo posizionarci, altrimenti l'Europa si posizionerà senza di noi, tutt'intorno a noi.
Abbiamo interesse a rimanere stretti alleati dell'UE, così come l'UE ha interesse a collaborare con la Svizzera già solo per il surplus della bilancia commerciale.
Un'Europa forte cerca ciò che unisce, non ciò che divide.
Un'Europa forte rispetta le caratteristiche nazionali oltre che le norme comuni.
Un'Europa forte potrebbe trarre insegnamento dall'idea del freno all'indebitamento, della perequazione finanziaria, della suddivisione dei compiti in un sistema federale e della partecipazione della popolazione secondo il modello svizzero.

Sfide in Svizzera

Signore e signori: non è la prima volta che la Svizzera si trova a fare i conti con un contesto difficile: è già successo nel 1971, con le conseguenze della guerra del Vietnam, e nel 1978, quando il franco si rivalutò nei confronti del marco tedesco.
Anche se è diventata la valuta più forte del mondo, il franco è un motore di benessere, promuove l'identità nazionale e posiziona la Svizzera come piazza finanziaria ed economica forte e stabile, con condizioni quadro favorevoli.
Ciò dimostra che, a lungo termine, la fiducia nella stabilità della Svizzera e nella solidità del franco e una Banca nazionale indipendente sono di importanza fondamentale per la piazza economica elvetica.

Dobbiamo osservare con tranquillità e distacco anche gli attacchi al nostro sistema fiscale.
La globalizzazione ha portato ad un aumento della competizione in ambito fiscale.
Per il nostro paese non si tratta di attirare imprese o contribuenti del genere "mordi e fuggi".
Noi vogliamo un sistema attrattivo e stabile a lungo termine.
Se teniamo sotto controllo le uscite, non attribuendo continuamente nuovi compiti allo Stato, possiamo anche sgravare i cittadini dal punto di vista delle imposte.
Il livello elevato dell'imposta preventiva e la legge sul lavoro nero hanno portato a una cultura della fiducia, a un grande consenso nei confronti del fisco e a un'evasione fiscale limitata.

Esiste nel mondo un sistema migliore?
Il nostro sistema fiscale è equilibrato, solidale e tiene conto in maniera adeguata della capacità contributiva dei singoli.

Per questo viene considerato un sistema equo.
Per questo è sostenuto dalla popolazione.
Per questo assicura allo Stato le entrate necessarie per svolgere i suoi compiti a favore dei cittadini.

Ciò non ha niente a che vedere con il segreto bancario.
È vero che nel passato il segreto bancario ha attirato molti capitali in Svizzera.
Ma anche noi ci aspettiamo che il denaro che i clienti stranieri investono nel nostro Paese sia tassato correttamente.

Con i nuovi accordi contro la doppia imposizione fiscale, con l'assistenza amministrativa e giudiziaria accordata al fisco estero e con l'imposta liberatoria disponiamo di un modello chiaro per superare i contenziosi del passato.
In caso di fondato sospetto, aiutiamo gli Stati esteri a riscuotere le loro legittime imposte.
La piazza finanziaria si impegna ad accettare solamente denaro che è stato denunciato al fisco del Paese di provenienza.
Faremo bene ad applicare questo modello in modo sistematico e coerente, perché la piazza finanziaria è importante.
Con i suoi servizi di alta qualità, offre numerosi posti di lavoro.
Contribuisce circa nella misura del 10% al PIL; la piazza bancaria vi contribuisce nella misura del 7-8%.

Ma la Svizzera non è solo questo!
Come Paese di piccole e medie imprese particolarmente innovative e un gran numero di società multinazionali di fama mondiale, disponiamo di una base economica ampia e solida.
Negli ultimi anni abbiamo potuto incrementare il numero di posti di lavoro.

Con una rete di accordi di libero scambio, siamo riusciti a fornire alle nostre aziende un accesso ottimale ai mercati del continente europeo e ai mercati emergenti globali.
Questo permette di compensare meglio debolezze congiunturali o fluttuazioni valutarie in determinate aree geografiche.

Il Partito democratico cristiano svizzero ha sempre sostenuto questa politica economica; anch'essa, tuttavia, non sarà più facile in futuro.

Sempre più spesso, le forze di sinistra vogliono vincolare gli accordi di questo genere al rispetto di standard in materia di protezione dell'ambiente e di rispetto di determinate condizioni di lavoro e dei diritti umani.
Le forze di destra, invece, non vogliono fare concessioni in ambito agrario e respingono a priori questi accordi.

Inoltre preoccupa il continuo flusso di immigrati.
È vero che la libera circolazione delle persone con l'UE ha contribuito molto a irrobustire l'economia svizzera.
Ma negli ultimi tempi si parla soprattutto degli effetti collaterali negativi sul traffico, sul mercato delle abitazioni, sui prezzi del terreno e sul livello dei salari.
A questo riguardo occorrono nuove misure collaterali che rafforzino la fiducia nella libera circolazione, anche in vista dell'ingresso nell'UE della Croazia.
Il Partito democratico cristiano svizzero deve definire rapidamente le sue proposte.

Se la Svizzera vuole rimanere l'economia più competitiva del mondo, una posizione che le è riconosciuta da oltre 4 anni, dobbiamo continuare a lavorare per avere un migliore accesso al mercato, per promuovere un numero sufficiente di giovani talenti, per incrementare la produttività del lavoro, semplificare le procedure e investire nelle tecnologie chiave del 21° secolo.
Solo così la Svizzera potrà restare una piazza economica attrattiva, nonostante i costi più elevati.

Sfide per la politica

Signore e signori, nessuno deve avere paura del futuro.
La Svizzera è in buona forma.
Giochiamo nella Champions League, perché siamo riusciti

a fondere insieme degli individualisti fino a formare una squadra,
a far partecipare alla storia e al successo del Paese persone provenienti da diverse aree geografiche e con modelli di vita diversi.

Disponiamo di capacità di formazione e di innovazione ampie, che ci consentono di creare cose nuove.
Abbiamo il senso della collettività.
E possiamo realizzare le nostre idee e le nostre visioni in un contesto pacifico.

Se nel nostro Paese le persone si sentiranno sicure e trattate correttamente, continueranno a lavorare con impegno e a contribuire al benessere comune, e ad essere aperte al nuovo.
Quindi riusciremo anche in futuro a garantire sicurezza e stabilità ...

con una politica economica per lavoratori e datori di lavoro,
con una politica d'asilo per richiedenti l'asilo e amanti della patria,
con una politica pensionistica per chi versa i contributi e per chi percepisce le rendite,
con una politica fiscale che chiama tutti a fare il loro dovere.

A questo scopo abbiamo però bisogno di una strategia.
Al DATEC abbiamo sviluppato una strategia di questo genere, per sapere quale orientamento dare alle infrastrutture nei prossimi 20 anni.

Allora perché non sviluppare anche una strategia generale per l'intero Paese, che prenda in considerazione tutte le politiche settoriali?
Una strategia per sapere dove vogliamo andare.
Ciò presuppone che all'interno si sia concordi sulla meta da raggiungere.
Presuppone che nessuno gridi solo "Io! Io!", che nessuna regione chieda solo per se se stessa, che nessun partito consideri solo il proprio programma come l'unico giusto.

Se saremo e concordi all'interno, verremo percepiti dall'esterno come sicuri di noi, forti e uniti

come Paese dedito alla libertà, che difende i suoi valori fondamentali, aperto e curioso verso il mondo e che rappresenta un modello di comportamento;
come Cantoni che riscoprono la collaborazione confederale, che non si concentrano solo sul loro territorio ma che mantengono la visione d'insieme;
come Partito democratico cristiano svizzero, che proprio a causa di tutte le contraddizioni e le individualità si impegna a favore del dibattito democratico e per la ricerca di soluzioni, dedicando particolare attenzione alla famiglia, alla collettività e al ceto medio;
come partito che crea un consenso di base e che non lo spreca allegramente fra una legislatura e l'altra con gimcane di scelte opportunistiche, ma che cerca la stabilità e le opzioni migliori per il nostro Paese.

È da 100 anni che il Partito democratico cristiano svizzero assume responsabilità per il nostro Paese.
Senza esagerare possiamo ben dire di aver contribuito in modo sostanziale al benessere della popolazione.
Non dobbiamo reinventarci né dimostrare nulla a nessuno.

Per le nuove generazioni, per i prossimi 100 anni, il nostro compito come partito e come politici è però ora quello di dare forma a una Svizzera capace di affrontare le sfide del futuro.
Assumiamoci questo compito: con nuove idee, valori tradizionali e un approccio ispirato, partendo proprio oggi da qui, da questa Unionssaal di Lucerna!

Vive le PDC, vive la Suisse!

Sicurezza e stabilità per una Svizzera con un futuro