Signore e Signori,

in occasione della vostra manifestazione vi chiedete se la violenza e la disoccupazione giovanili siano frutto di un'educazione sbagliata.

Penso che questo interrogativo nasca dalla sensazione che la violenza e la disoccupazione giovanili siano appunto riconducibili a carenze educative.

1. Problemi immaginari?

La violenza e la criminalità giovanili sono problemi immaginari? I dibattiti in corso non sono altro che esagerazioni alimentate dai media e dai partiti? Sono forse false le cifre che circolano, come asseriscono taluni operatori sociali del settore? Forse non è aumentata la violenza tra i giovani, ma soltanto la percezione che ne abbiamo, perché oggi le persone sono sensibilizzate al problema e quindi più disposte a sporgere denuncia? È vero che i giovani - come deplorano verbosamente taluni - vengono ingiustamente tacciati di delinquenza?

L'aumento dei reati violenti ad opera di giovani è solo un impressione non corroborata dai fatti? La risposta è decisamente «no». Dalla fine degli anni Ottanta, i reati violenti sono raddoppiati se non addirittura triplicati. Sempre più spesso le vittime sono giovani (prof. Martin Killias, Tages-Anzeiger del 7.8.2007). Lo stesso dicasi per gli autori dei reati: il numero dei giovani delinquenti ha registrato un netto aumento - sebbene il numero delle denunce sia in calo!

2. Statistiche

Giungiamo quindi ai risultati seguenti.

Negli ultimi anni la violenza giovanile è aumentata a dismisura e con essa le proporzioni delle violenze commesse.

Tra gli autori spiccano i giovani stranieri, segnatamente quelli di origini balcaniche.

«Il problema principale è e resta la criminalità giovanile», sostiene il capo della polizia Bernhard Herren. Sproporzionatamente alta appare la quota di giovani di origini balcaniche, che rappresentano il 52,6 per cento di tutti i giovani stranieri indiziati di reati contro la vita e l'integrità della persona.
Dietro a ciascuna di queste cifre si nasconde una vicenda personale caratterizzata da grandi sofferenze per le vittime e i loro cari e da atrocità che lasciano il segno.

3. E l'educazione?

Spesso la dilagante violenza giovanile presenta un tratto comune: le carenze educative dei genitori. Le principali cause della violenza giovanile sono infatti inerenti alla sfera educativa:

maltrattamenti e incurie;
sorveglianza insufficiente da parte dei genitori;
litigi violenti fra i genitori;
educazione poco coerente.

Vi si aggiungono i problemi scolastici, particolarmente pronunciati nei ragazzi alloglotti. Non va nemmeno sottovalutata l'appartenenza a un gruppo che approva o esercita la violenza.

I genitori non possono sottrarsi alle loro responsabilità. Le strutture per la cura dei figli, le scuole diurne e l'educazione extrafamiliare, di cui si fa un gran parlare in questi tempi, non sollevano i genitori dai loro doveri educativi. Anche se lo Stato mettesse a disposizione tutte le strutture possibili, i bambini non passerebbero comunque la maggior parte del loro tempo a scuola, all'asilo o al nido. Per gran parte della giornata, il sabato, la domenica, in vacanza, sono infatti accuditi dai genitori. Ecco perché la responsabilità spetta a loro!

4. Scuola senza disciplina?

Mi giungono molte testimonianze di insegnanti scoraggiati dalla difficoltà di farsi rispettare in classe.
I maestri di tirocinio lamentano che al termine della scolarità obbligatoria i giovani sono sprovvisti delle conoscenze e delle capacità più elementari.
Le ditte di una certa dimensione effettuano test di ammissione perché non si fidano più delle pagelle.
I genitori si dicono preoccupati perché i loro figli hanno poche prospettive professionali a causa della carente istruzione.

Questa situazione è frutto di una politica scolastica ed educativa disastrosa. Sopratutto negli anni Settanta la sinistra è riuscita imporre i sui metodi antiautoritari. I docenti si sono fatti abbagliare dalle promesse fatte, e la pedagogia della riforma continua a fare capolino a casa e a scuola.

Ecco alcuni punti salienti di questa pedagogia della riforma fallimentare:

abolizione dei voti;
disdegno del rendimento scolastico;
educazione antiautoritaria;
indisciplina;
principio edonistico applicato alla scuola;
mentalità, coltivata e tollerata, del «tutto è dovuto»;
scusante psicologica per qualsiasi condotta inammissibile;
i bambini che non riescono a stare fermi e a concentrarsi vengono dichiarati «iperdotati» che si annoiano terribilmente a scuola e quindi non possono fare altro che disturbare.

Dobbiamo smetterla con questa pedagogia rovinosa. La pedagogia della sinistra è fallita, e noi siamo chiamati a eliminarne gli strascichi.

5. Basta con la pedagogia sessantottina

L'educazione antiautoritaria credeva di dover evitare ai bambini tutte le difficoltà.
Educare però significa preparare i bambini alla vita adulta.
Qualsiasi altra cosa va a svantaggio del bambino, che da adulto dovrà esser in grado di superare le difficoltà. Chi nega tale evidenza, inganna i bambini. I genitori hanno quindi il dovere di insegnare ai figli a superare le difficoltà senza scoraggiarsi. I bambini devono imparare - in una forma adeguata alla loro età e alle loro capacità - a risolvere da soli i problemi, senza che venga loro chiesto troppo o troppo poco.
Per questo i bambini necessitano di valori chiari. Sono i genitori a doverglieli trasmettere. I bambini vanno anche guidati. Sono i genitori a doverli guidare, dando l'esempio.

Un bambino cui vengono date regole chiare, accetta anche le sanzioni del caso.

Dobbiamo recuperare i metodi consolidati, ovvero la consapevolezza che:

la fermezza fa parte dell'educazione;
senza sforzi non si va avanti;
una scuola che non punta al rendimento e alla disciplina abdica alla sua missione principale.

Educare è sinonimo di esempio, di fermezza e di affetto.
Questi tre pilastri reggono un'educazione che guida il bambino con amore e il rigore necessari.

6. Reati e pene

Lo Stato si trova ad affrontare le conseguenze di una politica educativa sbagliata che deve risolvere anche sul piano penale. Anche la pena fa parte dell'educazione.

Spesso sentiamo dire, in termini assai benevoli, che il numero dei giovani autori di reato è relativamente esiguo. Certo, è vero, ma le percentuali non aiutano a risolvere il problema della criminalità. Se quattro energumeni armati di coltello si avventano sui passanti durante la Streetparade di Zurigo, si tratta senz'altro di una piccola percentuale dei presenti, ma la situazione desta preoccupazione. I giovani con un'intensa attività delinquenziale vanno osservati da vicino e tolti dalla circolazione con provvedimenti adeguati.

Nella veste di ministro di giustizia ritengo più importante proteggere i cittadini dai criminali che dispensare ai criminali ogni tipo di terapia possibile e immaginabile.

Nella veste di ministro di giustizia, competente anche in fatto di migrazione, ritengo che non debba essere soltanto possibile, ma addirittura obbligatorio espellere gli stranieri che si macchiano di reati.

Chi commette reati ne deve subire le conseguenze - subito. Se trascorrono mesi o anche anni prima che il reato sia punito, la pena non esplica l'effetto desiderato.

Abbiamo constatato che molti giovani vittime di violenze, minacce o coazione non si fanno avanti per paura. Non osano confidarsi né con i genitori né con la scuola o la polizia. È un fenomeno preoccupante.

Vogliamo che i criminali e coloro che rifiutano di integrarsi affrontino le conseguenze delle loro azioni.

Vogliamo che anche i giovani stranieri che causano problemi vengano trattati con durezza - a tutela di tutti gli immigrati che s'impegnano nel nostro Paese, che lavorano, rendono, rispettano la legge e si identificano con la Svizzera.
Vogliamo che la violenza giovanile venga combattuta come una distorsione della società. Vogliamo lavorare insieme per la svolta conservatrice: puntiamo sulla disciplina, la voglia di rendere, la fermezza, l'impegno e la perseveranza.

Violenza e disoccupazione giovanili: frutto di un’educazione sbagliata?