1. La Svizzera liberale

1. 1 La Svizzera è un'eccezione?
Prima di dedicarci alla questione vera e propria, ossia se l'eccezione Svizzera costituisce un'opportunità oppure uno svantaggio, dobbiamo essere d'accordo su in cosa consiste veramente questa eccezione:

La Svizzera è uno Stato liberale con ampi diritti di libertà e diritti popolari, permanentemente armato, con una politica estera neutrale e una struttura interna federalistica. Spiritualmente è ancorata a un patriottismo non orientato verso una cultura o una lingua, bensì a un riconoscimento comune dell'eccezione politica Svizzera che ha reso possibile questo Stato pluriculturale soprattutto proprio attraverso il suo ordinamento liberale. Se questo convincimento o uno dei suoi pilastri (indipendenza, neutralità, federalismo, diritti popolari) viene a cadere, la sopravvivenza della Svizzera nel suo insieme è minacciata.

Non sappiamo se anche in futuro il nostro modello politico sarà il migliore fra tutti i modelli possibili.

Ma sinora la storia dimostra che uno Stato federalistico e indipendente, incentrato su un ordinamento economico liberale, può offrire libertà e benessere alle persone. Lo testimoniamo 150 anni di pace e agiatezza. La Svizzera è uno dei Paesi più ricchi al mondo e se questa sua reputazione risulta parzialmente erosa è soltanto perché il grado di autoresponsabilità del nostro Paese è costantemente sopraffatto da uno Stato sociale e di ridistribuzione sviluppato in modo insidioso. La rinuncia all'eccezione Svizzera non ha in ogni caso apportato alcun vantaggio.

1. 2 Sovrano fra tanti
Sempre più sovente ci chiediamo con angoscia se lo Stato sovrano svizzero è sempre più simile a un modello di fine serie. L'estremo modo di dire "eccezione Svizzera&" significa un'opportunità oppure un problema? La Svizzera deve rimanere indipendente oppure aderire all'Unione europea? Il nostro Paese deve costruirsi in base alle proprie forze oppure associarsi a una più vasta alleanza per seguire la visione di un'Europa unita? La neutralità armata è ancora d'attualità oppure è meglio che la Svizzera aderisca a una coalizione militare esistente (NATO) o a una in via di costituzione (UE)?

Per giungere a una risposta valida, bisogna dapprima relativizzare l'esclusività della locuzione "eccezione Svizzera". La Svizzera non è mai stata sola nel senso di staccarsi dal proprio ambiente politico, economico e culturale. Non c'è e non c'è mai stato un pianeta Svizzera. Il commercio, gli scambi, i contratti, i partenariati hanno da sempre determinato il nostro Paese e i suoi rapporti con gli altri Stati. La Svizzera però, malgrado tutte le implicazioni, non ha mai dichiarato superato il principio della sovranità. Lo si sente proprio qui a Zurigo poiché è questo Cantone che ha forgiato la Giovane Confederazione del 1848. Quindi mi risulta ancor più incomprensibile la momentanea insicurezza. Sembra che Zurigo abbia dimenticato da dove ha attinto la propria forza durante decenni: dal retaggio della borghesia liberale. Zurigo si trova oggi davanti a una svolta storica: il Cantone deve far fede alla propria tradizione liberale oppure cambiare decisamente rotta ponendosi sotto la tutela statale? Quali forze è ancora in grado di mobilitare la borghesia liberale?

Anche se lo si ricorda a malavoglia, lo Stato federale del '48 ha significato la vittoria del liberalismo e del nazionalismo.
Per ogni liberale era certo che come unità politica acquisiva senso soltanto uno Stato nazionale. L'élite politica ha sempre saputo tenere testa alle pressioni esterne. Non bisognava in ogni caso mai abbandonare la via della libertà e dell'indipendenza. Ora improvvisamente si vuole altro?

1. 3 Fine della "soluzione unilaterale"?
Dalla caduta del Muro - in un clima d'ingenua euforia di pace ed armonia - si sono moltiplicati soprattutto in Svizzera gli attacchi all'indipendenza. Non soltanto il termine autosufficienza è stato sostituito sempre più spesso, e perfino deformato, con quello di "Alleingang" (soluzione unilaterale), ma i sostenitori di una dottrina della fine dello Stato nazionale e dell'equilibrio del potere intesa come presupposto per la pace hanno viepiù dato fiato a tale teoria. Negli anni '90, le loro idee conducono a un ambiente politico scarsamente consapevole e affatto incline ad assumersi il peso delle responsabilità. Ne è conseguita una tendenza quasi coatta verso l'internazionalismo, che ha coinvolto in particolare l'Amministrazione federale, anche se ognuno era cosciente che l'attività, da sola, non fa avanzare. Tendiamo ad essere concordi con Mathias Claudius: "...costruiscono castelli in aria e cercano nuove arti e superano ampiamente il traguardo..." (trad. nostra).

Il realista è cosciente che la spesso preconizzata fine dello Stato nazionale e dell'ordinamento vestfaliano di Stati sovrani e autoresponsabili non è ancora giunta. Nonostante la globalizzazione, negli ultimi venticinque anni sono sorti più Stati nazionali che nei cento anni precedenti. Fuori dell'Europa non si parla nemmeno di scomparsa dello Stato nazionale. Perfino l'ONU e il diritto internazionale hanno perso le loro basi.

Certo, sembra che stiano aumentando i problemi transfrontalieri. Ma la possibilità di risolverli è e rimane legato alla capacità di azione dello Stato. Nonostante tutte le fantasticherie sul sistema giuridico internazionale, soltanto gli Stati possono disporre delle necessarie risorse materiali, personali, finanziarie e soprattutto militari. Le più recenti crisi a livello mondiale parlano un linguaggio chiarissimo: nel bisogno scattano immediatamente - anche in Europa - i riflessi nazionali.

2. La Svizzera indipendente - coesistenza invece di adesione

2. 1 Dove sta andando l'Europa?
Alla fine, ecco la domanda di cui ci occupiamo questa sera: la Svizzera deve aderire all'Unione europea oppure no?

Per quanto concerne l'Unione europea: nel corso degli ultimi anni l'UE si è modificata considerevolmente. Da una Comunità europea (CE) flessibile, tenuta soprattutto a liberalizzare l'economia, è sorta l'Unione europea che punta sempre più verso un'unione politica (politica di sicurezza ed esterna comuni, politica interna e giudiziaria comuni, unità monetaria politica). Negli ultimi anni l'UE è cresciuta rapidamente e oggi non è assolutamente chiaro dove porre i confini politici dell'&"Europa&". Fin dove arriva l'Europa? Al di là del Bosforo? Al di là degli Urali? Anche gli Stati arabi che si affacciano sul Mediterraneo fanno parte dello "spazio europeo&"?

Nessuno degli architetti dell'Europa sa esattamente dove deve terminare l'UE. Un dato di fatto che, piuttosto che entusiasmarci, dovrebbe indurci alla riflessione. Si intravedono tuttavia alcune importanti tendenze. Anche se soltanto gli Stati stessi possiedono la capacità di risolvere i problemi, le istanze dell'EU cercano di accaparrarsi il massimo possibile di competenze e autorità. Questo ampliamento del potere centrale avviene sempre più a spese della democrazia (il che riduce le possibilità di partecipazione del singolo cittadino) e della sovranità dello Stato (il che contrasta con il carattere originale dell'Europa, ossia il plurinazionalismo pulsante). Per la Svizzera però un'adesione all'UE significherebbe la rinuncia all'indipendenza e al federalismo, due colonne della nostra eccezione. Da qualche tempo l'Unione europea aspira a un esercito comune. L'adesione all'UE significherebbe dunque anche - e sto parlando davanti ad ufficiali - un'adesione a una futura coalizione militare e quindi la perdita della nostra terza colonna, la neutralità permanentemente armata.

2. 2 L'armonia non sostituisce la libertà
Nel nostro Paese, l'espressione di moda "integrazione" occulta abilmente lo smantellamento graduale della sovranità dello Stato. Integrazione e "armonizzazione" contrastano però con l'immagine di una società liberale dacché portano al livellamento e all'uniformazione, alla costrizione e alla tutela, al potere centrale e alla burocrazia.

Quando un Americano, partito come marxista da giovane e successivamente attivo nelle scienze economiche, riceve il premio Nobel e a 84 anni lavora ancora come universitario, dispone certo di tutti i presupposti per poter dire liberamente e con franchezza ciò che pensa. Mi riferisco all'economista Douglass C. North, oggi convinto fautore delle strutture liberali e decentralizzate, che sosteneva: "queste sono le mie premesse: nessuno sa come si fa a far bene una cosa, ma se fa molte prove ha maggiori opportunità di giungere al successo. Così si è evoluta l'Europa. Il successo dell'Europa va ascritto al fatto che molti piccoli Stati, in concorrenza tra di loro, hanno provato a fare tutto quanto era possibile. Alcune cose non hanno funzionato, altre sì. E quando qualcosa funzionava, gli altri Stati l'hanno imitata". Proseguendo North ha detto: "fino a quando in Europa sarà permessa una sufficiente concorrenza tra gli Stati si avranno successi come in Irlanda che, negli ultimi 15 anni, si è sviluppata in modo spettacolare. Ma se si crea una forma di Stato unica e unitaria che costringe tutti a una normativa comunitaria, allora sarà una catastrofe". Forse vi meraviglierete che io citi un ex-comunista. Eppure oggi si crede maggiormente nelle persone con un passato marxista piuttosto che in quelle con un passato imprenditoriale.

2. 3 Svanito l'entusiasmo
Se l'entusiasmo nei confronti dell'Europa unita si è considerevolmente affievolito, fatta eccezione per gli ambienti politici a Berna, tale calo è imputabile a ragioni economiche e politiche. L'Unione europea non è stata in grado di risolvere nessuno dei problemi ai quali la Svizzera pensava di poter trovare una soluzione soltanto grazie a un'adesione all'UE: indebitamento, tassi di criminalità in crescita, abusi in materia d'asilo, "miseria educativa", disoccupazione, burocrazia, regolamentazioni, oneri fiscali e tributari contraddistinguono parti dell'Unione così come della Svizzera attuale. Dato che soltanto gli Stati stessi possiedono la capacità di risolvere i problemi, sono convinto che proprio un piccolo Paese con un Parlamento di milizia possa agire in modo più rapido ed efficace di un anonimo colosso amministrativo sprovvisto di uno spiccato controllo democratico, a patto che lo voglia e lo faccia. A tal fine sono indispensabili persone con senso di responsabilità. Vi chiedo: siamo disposti ad assumerci tale responsabilità?

3. La Svizzera neutrale - Armati per l'inaspettato

Anche se il tema del discorso non lo esige a chiare lettere, una società degli ufficiali dovrebbe discutere di politica di sicurezza. Consentitemi pertanto di delineare le minacce che potrebbero gravare sul futuro.

3. 1 Capovolgimenti e trasformazioni
Attualmente siamo impegnati nell'immaginare le forme delle cosiddette nuove guerre. Siamo testimoni di una crescente privatizzazione, commercializzazione e asimmetria della guerra. La vecchia distinzione tra guerra e pace, soldati e civili, soldati e criminali, amico e nemico, interno ed esterno, si fa confusa. Osserviamo guerre civili, guerre terroristiche e antiterroristiche, guerre d'intervento, tutte con i loro propri motivi, protagonisti, procedure, strategie e tattiche, vincitori e vinti, e tutte piene di sofferenza, morte e distruzione.

Oggi sentiamo la voglia di potere dei grandi Stati e delle organizzazioni internazionali nella lotta per un nuovo ordinamento globale. Viviamo il molteplice tentativo di scalzare il monopolio della violenza da parte degli Stati nazionali e di scaricare la responsabilità della politica militare su burocrazie sopranazionali poco trasparenti. Dove si situa la Svizzera in tale processo? In che modo è possibile fermare lo smantellamento latente della sovranità? In che misura la direzione politica (Consiglio federale, Parlamento, Amministrazione) continua ad attenersi al principio della neutralità sancito dalla Costituzione? La neutralità può diventare la marionetta di interpreti pieni di inventiva o dobbiamo riscoprire il nucleo vero e proprio di questo principio di politica estera? Conoscete le chiacchiere sulla neutralità "attiva". La neutralità esiste solo in periodi di guerra e simili. Sono tutte approvazioni di principio della neutralità che si rivelano essere la forma più educata di rigetto della stessa!

3. 2 Che cosa dobbiamo difendere?
Se non tutti i cittadini e i soldati sanno rispondere con proprie parole in modo convincente a questa domanda, allora c'è qualcosa che non va nello Stato e nell'esercito. Anche in periodi di capovolgimenti strategici si tratta della nostra indipendenza, della nostra responsabilità in una democrazia marcatamente diretta, della nostra libertà dalla schiavitù, della neutralità in quanto strategia di sopravvivenza di un piccolo Stato.

Si tratta della preminenza del diritto in caso di conciliazione, della protezione della vita e dell'integrità della persona e dell'andamento ordinato dell'economia. Il costante riferimento alla sicurezza porta a farsi idee sbagliate. Chi ricerca la sicurezza e a tal fine sacrifica la libertà, non ha guadagnato né l'una né l'altra, riteneva a suo tempo Benjamin Franklin. Non si è liberi e indipendenti senza una ragionevole dose di rischio. Il piccolo Stato che si rifugia tra le braccia di uno Stato più grande può sperare in una maggiore sicurezza. Ma si sbaglia, poiché viene trascinato nelle imprese di quest'ultimo. Il desiderio di una sicurezza collettiva è perlopiù sintomo di debolezza, la quale tende sempre a una mancanza di realismo. Secondo uno slogan del giornalista William Pfaff "la sicurezza collettiva è il pretesto per non doversi assumere la responsabilità individuale della sicurezza".

La rinuncia alla difesa sovrana non è la soluzione. Abbiamo bisogno di una nuova consapevolezza delle minacce, adeguata ai cambiamenti strategici, obiettiva, realistica e spassionata.

Dobbiamo conoscere e imparare a difendere i nuovi punti deboli della società moderna, strettamente interconnessa. Già al momento della pianificazione dobbiamo evitare di creare centri vulnerabili. Le parole chiave sono quindi: concentrazione sull'essenziale, decentralizzazione, delega della responsabilità, capacità di reagire in caso di crisi, massima flessibilità. Quando dico "noi", penso ai responsabili a livello di politica, militare, amministrazione, economia e società. Non abbiamo bisogno di immagini artificiali del nemico, ma di un'immagine realistica dei nostri punti deboli.

3. 3 Direzione e responsabilità
Gli attentati dell'11 settembre 2001 hanno insegnato che la maggiore responsabilità di un governo consiste nella protezione della propria popolazione dalla violenza proveniente dall'esterno. Questo vale anche per noi. Il presunto trasferimento della responsabilità a organi internazionali o a truppe ed eserciti mercenari non serve a nulla in caso d'emergenza. La strategia svizzera è profondamente radicata in un esercito di milizia che non attende in caserma di essere impiegato, bensì è integrato nella società e nell'economia e offre protezione quando necessario. La responsabilità ultima risiede presso il sovrano, presso il cittadino.

Questa protezione non è possibile senza sacrifici personali. Ma la milizia pone requisiti elevati per le imprese militari di governo e amministrazione e va bene così. Offre un'elevata qualità dal profilo professionale e personale a tutti i livelli.

La direzione militare in grandi comitati continua a fallire. Laddove sono utilizzati mezzi violenti è necessaria una chiara responsabilità direttiva. Ognuno deve conoscere il proprio mandato, le proprie competenze e i propri mezzi. Le vie di servizio devono funzionare. Ognuno deve sapere chi sono gli alleati e di chi può fidarsi. Abbiamo ancora bisogno di una direzione dello Stato ben preparata, capace, in caso d'emergenza, di arrivare fino all'impiego dell'esercito e in grado di ricorrere a tutti i servizi necessari in seno all'alleanza e secondo le esigenze gerarchiche. Lo stato maggiore di crisi deciso dal Consiglio federale e previsto in caso di catastrofi va in questa direzione e costituisce un raggio di speranza.

La prossima guerra sarà diversa dall'ultima. Sarà diversa che quello che ci immaginiamo oggi. Forse non si chiamerà nemmeno "guerra". Chiamiamola caso d'emergenza. è richiesta la capacità di far fronte a situazioni nuove, inaspettate, inaudite.

Si tratterà di avere una visione d'insieme da parte dei servizi d'informazione, stabilire le capacità di direzione e reazione adottando misure immediate, valutare la situazione, prendere decisioni tempestive, assegnare mandati e concretizzare tutto ciò. Si tratterà di prendere nuove disposizioni nel contesto in rapida mutazione di una crisi su più fronti, creare e impiegare riserve, coordinare gli sforzi di centinaia di migliaia di persone.

Non è possibile reinventare la direzione dello Stato in caso d'emergenza. Forse in tutti questi lunghi anni di pace abbiamo perso il rispetto di tale compito. Guardiamoci dal preparare l'ultima guerra o la guerra fredda. La situazione di minaccia è nuova, instabile e continuerà a mutare. Tutti i preparativi, soprattutto tutte le esercitazioni, devono pertanto essere all'insegna: superare le situazioni inaspettate. La sorpresa resta il nucleo di tutti i nuovi modelli di difesa nazionale. Inoltre, non è sufficiente effettuare esercizi di condotta annunciati con largo anticipo che possono essere preparati in dettaglio da funzionari esperti. Abbiamo bisogno di strutture funzionanti, flessibili in tutti i settori e a tutti i livelli. Non abbiamo bisogno di casi preparati con molti dossier, bensì di una tecnica di gestione collaudata per eventi difficilmente prevedibili.

Il presidente americano e quello russo hanno constatato che i loro apparati direttivi sono stati colti di sorpresa nel momento decisivo e non hanno reagito in modo adeguato. Il nostro compito è più chiaro e più semplice, ma sufficientemente impegnativo. Soltanto il nostro modo di pensare è spesso troppo statico.

4. E la NATO?

Ed ora parliamo della NATO e chiediamoci che cosa è in realtà:

"Ciascuno capisce che cosa era la NATO.
Alcuni capiscono che cosa è la NATO.
Ma nessuno capisce che cosa sarà la NATO".

Questa breve analisi da parte del generale James Jones, comandante supremo della NATO, è valida, parola per parola, anche per noi.

Conoscevamo la NATO come potente alleanza di difesa dei nostri vicini contro la minaccia rappresentata dai membri, armati fino ai denti, del Patto di Varsavia. Tuttavia, la potenza offensiva della NATO non ha mai dovuto affrontare la prova del fuoco. Essa non ha vinto la Guerra fredda, semplicemente non l'ha persa. Dopo la disgregazione del nemico più probabile, i membri della NATO hanno lasciato deperire la maggior parte delle loro forze armate. Sono stati operati tagli negli effettivi, nei budget e nella formazione. In Kosovo la NATO ha condotto la sua unica guerra, senza mandato dell'ONU, e in modo solo in parte convincente sotto il profilo militare. Gli strascichi di questa guerra non sono ancora superati. La NATO ha rischiato di spaccarsi a causa della guerra in Iraq. Gli Stati Uniti hanno rifiutato l'aiuto degli alleati, i quali si sono appellati precipitosamente all'articolo 5 del Trattato NATO. è la coalizione che determina il mandato e non viceversa, ha risposto il ministro della difesa americano. Finora tutti i tentativi di riportare a nuova vita la NATO sono rimasti incompiuti. L'allargamento ad est ha portato nuovi membri con altre culture strategiche. Il divario qualitativo e quantitativo con la superpotenza degli Stati Uniti rimane schiacciante e continua a crescere. Gli interventi in Iraq e in Afghanistan non possono entusiasmare gli elettori europei. Il futuro della NATO resta incerto.

In veste di nuovo membro del governo svizzero credo che ormai nessuno all'interno del Consiglio federale chieda, apertamente o di nascosto, di entrare a far parte della NATO.

Ma non va negato che nell'ambito del "Partenariato per la pace" svolgiamo già oggi un "servizio di collegamento allargato" e ciò non va nella direzione di un'ampia neutralità.

Riassumendo: l'evoluzione della NATO è incerta. Certa è tuttavia la nuova vulnerabilità della Svizzera nelle nuove guerre del XXI secolo. E certa è la necessità di essere in grado di agire rapidamente assumendoci le nostre responsabilità.

5. Neutralità e risolutezza

Perché dovremmo mantenere il principio della neutralità?

La neutralità ci protegge dall'entusiasmo per la guerra, dalla manipolazione da parte dei media, dalla rinuncia affrettata una volta messi sotto pressione. Ci permette di fornire un aiuto imparziale laddove è davvero indispensabile. Insieme al sistema di milizia, istituisce requisiti elevati per l'impiego dell'esercito svizzero. Ma non è gratis. Necessita di politici, diplomatici e soldati fermi, consapevoli, che non dipendono da plausi da parte dell'estero.

Che cosa significa davvero la neutralità e cosa ci apporta? Non soltanto vantaggi. Essere neutrali significa spesso, e soprattutto in caso d'emergenza, essere soli. I responsabili e i dirigenti capaci riconoscono l'inevitabilità della solitudine, mentre le persone deboli che evitano la responsabilità la temono così tanto. Ma in caso d'emergenza la solitudine sarà senz'altro la variante più probabile rispetto a un aiuto illimitato da parte di altri. Non sarebbe quindi più intelligente tener conto di questa più probabile eventualità sin dall'inizio? Chi si appoggia ai più forti, ne diventa succube. Spetta soltanto al più forte decidere se in caso d'emergenza è disposto ad appoggiare il più debole. Se dovesse effettivamente decidere di farlo, allora lo farebbe certamente soltanto a condizione che il più debole condivida gli interessi del più forte.

Tuttavia, quanto reale è il pericolo di essere coinvolti, volenti o nolenti, in un conflitto al fianco di un partner più forte? Infatti, un'alleanza può diventare anche una prigione. Proprio i più recenti attacchi terroristici perpetrati fino in Europa dimostrano che, anche in tempo di conflitti sopranazionali, la neutralità offre una migliore protezione rispetto a prese di posizione affrettate. Neutralità non può dunque significare intromettersi attivamente e prendere posizione in tutte le questioni.

è piuttosto un garante per la pedina più importante di politica estera nello scacchiere internazionale: la possibilità di valutare.

6. Due parole agli ufficiali

Sicuramente vorreste sapere che cosa significano queste riflessioni per voi? O forse in altre parole: "che cosa si aspetta da me, in qualità di ufficiale e in particolare in qualità di ufficiale di milizia, il Consiglio federale?"

Tutti noi (e non solo il Consiglio federale) ci aspettiamo da voi:

che, in qualità di ufficiali di milizia, vi occupiate dei valori del Paese e delle minacce cui è confrontato;
una convincente risposta personale alla domanda summenzionata "che cosa dobbiamo difendere?";
un'immagine delle nuove guerre moderna, adeguata ai cambiamenti, senza illusioni e ideologie;
la padronanza del mestiere militare;
l'esecuzione dei mandati assegnati;
spirito e atteggiamento critici;
il coraggio di assumersi il rischio della "via solitaria" poiché rappresenta l'opportunità di poter esistere anche in futuro.

L'eccezione Svizzera: soluzione unilaterale come opportunità o intralcio